Michela Boi

Michela è nata ad Oliena, un piccolo paese della Barbagia, nel cuore della Sardegna. Si è iscritta alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pisa e nel corso degli anni universitari ha deciso di partire per l’Erasmus. Tra le possibili mete proposte dall’università, ha optato per Parigi, dove ha trascorso l’ultimo semestre della sua carriera universitaria nel 2012.

I pochi mesi del mio soggiorno parigino li ho trascorsi alla Maison de l’Italie: nonostante i miei dubbi iniziali, la vita nella residenza “studentesca” è stata per me una delle esperienze più intense e formative.
Ricordo che quando decisi di presentare domanda alla Maison avevo qualche perplessità: abituata all’autonomia e all’indipendenza che un appartamento condiviso con altri studenti consente, mi preoccupava un po’ l’idea dello “studentato” e delle possibili limitazioni che questo avrebbe comportato. Ma, soprattutto, temevo che l’ambiente un po’ dispersivo avrebbe reso più difficile, per la persona riservata qual ero, l’instaurarsi di nuove amicizie e conoscenze. Temevo che l’occasione data da un tetto comune non fosse sufficiente ad accomunare persone tanto diverse, con impegni e interessi non facilmente conciliabili. Fortunatamente mi sbagliavo: la Citè è infatti qualcosa di ben diverso da un comune “studentato”.
Dunque, non essendo semplice trovare un’altra sistemazione a Parigi, per non correre rischi, mi decisi a presentare domanda anche alla Maison. Per gli studenti universitari italiani, entrare alla Maison de l’Italie non è semplice. I requisiti sono molto selettivi, in quanto prendono in considerazione la media dei voti, le esperienze professionali, le pubblicazioni (che uno studente universitario certamente non ha!).
Ciò certamente si rifletteva nella composizione stessa della Maison, abitata in prevalenza da dottorandi e post-doc, con stili di vita, abitudini, necessità affatto diverse da quelle dello studente Erasmus medio.
L’età media era tuttavia abbassata dagli studenti stranieri “en brassage”: questo sistema consente la creazione di contesti variegati e multiculturali, così da evitare che le varie Maison riproducano ambienti culturalmente omogenei, poco aperti al diverso, allontanandosi così dal lungimirante progetto alla base dell’idea della Citè Universitarie.
La Citè infatti si fonda su una concezione cosmopolita della Città di Parigi, rappresentando un microcosmo multietnico che accoglie lavoratori, ricercatori e studenti di tutto il mondo, che condividono culture, esperienze e stili di vita molto diversi, accomunati però dall’esigenza di ricreare, lontano da casa, un ambiente affettivo e parafamiliare. La ricchezza personale che un simile contesto riesce a trasmettere risiede proprio nella diversità, non solo culturale, etnica e linguistica, ma anche nel differente cammino che ciascuno percorre, nella differente fase della vita che ciascuno attraversa.Per questo l’esperienza di vita in uno dei Collegi della Citè è un’esperienza indimenticabile.
Certo, la diversità, non tanto culturale quanto professionale, a volte può essere fonte di qualche piccola incomprensione. Per cui la convivenza in uno stesso collegio, in uno stesso corridoio, in una stessa cucina può non essere semplice. Anzi, è una palestra per imparare il rispetto delle esigenze altrui.