Diego Marani è scrittore e glottoteta italiano, lavora al Servizio europeo di azione esterna dell’Unione europea dove si occupa di diplomazia culturale. Ha soggiornato alla Maison de la Tunisie nel 1980.
Feci domanda nel 1979 perché dovevo andare a studiare un semestre a Parigi, all’Ecole supérieure pour interprètes et traducteurs della Sorbonne. All’epoca studiavo all’università di Trieste e il corso di studi prevedeva un semestre in una facoltà equivalente alla mia. Ero iscritto alla Scuola superiore per traduttori e interpreti dal 1978. A quei tempi non c’era internet, a malapena il telefono, quindi l’estate del 1979, in un viaggio a Parigi, passai per la Maison d’Italie per chiedere se avevano posto per me da gennaio 1980 a giugno 1980. L’allora direttore mi disse di sì e registrò la mia domanda.
Mi venne assegnata una camera alla Maison de la Tunisie. L’ alloggio non era male. Frusto, un po’ vecchiotto, ma pulito. L’edificio era una brutta costruzione in stile anni 50 ma le stanze erano luminose e gli altri studenti, tutti tunisini, amichevoli e composti. La prima settimana condivisi la camera con un altro studente. Ricordo il nome: Ben Salam Ali. Poi lui andò a stare in camera con la sua ragazza e mi lasciò la stanza tutta per me. La sera c’era una sala tv molto frequentata, e puzzolente, che però era anche un divertente luogo d’incontro. I ragazzi tunisini sembravano molto studiosi e nelle sale di studio non volava una mosca. La domenica a pranzo per pochi franchi c’era cous-cous e un’arancia per tutti. Alla Cité frequentavo anche altre maison, ricordo quella delle Provinces françaises, e seguivo un corso serale di teatro. A me interessava soprattutto parlare francese e il teatro era un ottimo esercizio. Lì conobbi una studentessa francese e un ragazzo siriano, ma non ricordo più i loro nomi. Uscivamo ogni tanto la sera a cena dopo il corso in qualche mensa. Con loro e con qualche altro studente del corso di teatro fui introdotto nel mondo studentesco francese che allora, come in Italia, era molto politicizzato. Si parlava un sacco di comunismo e rivoluzione, e del golpe in Cile (1973).
L’esperienza della Cité e di Parigi in generale fu importantissima per la mia vita studentesca e professionale. Ma per noi apprendisti interpreti il soggiorno all’estero era comunque importante, anzi essenziale. Partivamo tutti per almeno un semestre. Non avevo mai conosciuto prima un ambiente studentesco di un altro paese e conoscere quello francese fu una scoperta. La Cité era molto internazionale, ovviamente, ma molto francese di cultura. Tutti quelli che ci abitavano o ci gravitavano erano inevitabilmente francofoni, francofili e orientati a vivere in Francia. La Francia allora era ancora un modello e attirava.
Ricordo con simpatia il corso di teatro. Mi aiutò molto a parlare bene il francese. Ogni lezione dovevamo recitare una particina che ci proponeva il maestro. Ma eravamo anche liberi di sottoporre noi testi o di scriverne. Io scrissi tre o quattro scenette, dei dialoghi un po’ assurdi che facevano molto ridere i miei compagni. Purtroppo li ho perduti. L’aneddoto più divertente fu quando il portinaio della Maison de la Tunisie mi presentò il mio compagno di camera: Ben Salam Alì. Lo disse in un modo che mi suonò come dialetto ferrarese. Quando non trovavo qualcosa che aveva sotto gli occhi in dialetto mi si diceva “ben salàm tallì!” che significa: “beh, salame, eccolo lì”
Sono tornato alla Cité una ventina d’anni fa. Ma non ho avuto il coraggio di entrare. Ho guardato le “maisons” dal boulevard, per paura di guastarmi i ricordi.