Aurelio Alaimo è il dirigente scolastico dell’Istituto statale comprensivo Leonardo da Vinci di Parigi. Ha soggiornato alla Maison de l’Italie nel 1980.
Il misfatto (una storia vera)
Abitavo alla Maison de l’Italie da poco più di un mese – una stanza lunga e stretta, il bagno comune in fondo al corridoio. Era l’autunno del 1980: la Cité Internationale ribolliva della rivoluzione iraniana, dai messicani si ascoltava buona musica, la Maison des États Unis offriva la colazione migliore – il lungo brunch della domenica. Qualche studente indiano era preoccupato per l’elezione di Reagan.
In quei giorni venne a trovarmi dall’Italia Mario La Cava, l’amico ribelle e geniale dei primi anni di università. Aveva viaggiato di notte con la sua vecchia Giulietta. Appassionato di scommesse, veniva a Parigi per le corse dei cavalli, l’ippodromo, i pronostici.
Le regole della casa non consentivano di avere ospiti, ma Alice, dalla stanza accanto, ci procurò una branda e un sacco a pelo. La Cava indossava sempre una camicia bianca spiegazzata, lo sguardo ironico e tagliente, uno spleen malinconico; Alice dipingeva, lavorava la pietra, cercava la sua strada, insoddisfatta. Insieme scomparvero per qualche giorno. E al momento di ripartire La Cava mi lasciò un biglietto di saluti (ringraziare non era nel suo stile) e un involto grosso e pesante: Alice gli aveva fatto un regalo, scriveva, una testa intagliata nella pietra. Lasciò tutto in un angolo, senza altre spiegazioni. Guardai dentro: la testa sembrava occupare l’intera stanza – un volto con la bocca aperta e un naso imponente.
Un mese dopo lasciai la Maison per un piccolo appartamento vicino alla Sorbona. Non potevo portare la testa con me: non avrei saputo dove metterla, era troppo ingombrante. Ma era impensabile confessare ad Alice lo sgarbo di La Cava; lei si aggirava per i corridoi della Maison con le sue pantofole di pelo rosso, studiava e dipingeva. Non mi restava altra scelta: misi la testa nello zaino, ricoperta di vestiti, una scusa pronta in caso di incontri imprevisti; uscii in piena notte, incrociai qualche messicano felice, attraversai Boulevard Jourdan, camminai a lungo. Poi la abbandonai in un angolo e mi allontanai in fretta, furtivo e pensieroso.
Alla testa di pietra ripensai molti anni dopo, in occasione della mostra personale di Alice, a Roma. Lessi su un giornale le sue lodi, gli apprezzamenti e le quotazioni delle sue sculture, le parole di un critico famoso. Di La Cava non ho saputo più nulla. Qualcuno sostiene di averlo visto ancora al vecchio ippodromo di Bologna, poco prima che chiudesse – la camicia bianca e l’occhio beffardo.