Intervista con Giulio
Giulio è originario di Vicenza, ha studiato Biotecnologie all’Università di Padova e Verona. All’epoca del nostro incontro, nel 2014, aveva appena iniziato il suo dottorato presso un’università parigina e viveva alla Maison d’Italie, dove organizzava spesso cene e pranzi a tema con gli altri residenti.
Come descriveresti la Cité Universitaire a qualcuno che non ne ha mai sentito parlare?
La descriverei come un grande campus universitario, con tante case di tanti paesi diversi, con gente che viene da tutto il mondo, con un bell’ambiente, con molte differenze culturali con cui è interessante confrontarsi. Ne avevo sentito parlare perché un professore amico dei miei genitori aveva soggiornato qui nel periodo in cui doveva tenere dei corsi alla Sorbona e mi ha detto “se vai a Parigi, c’è questo posto…”. Me l’aveva descritto benissimo, io ero già stato in uno studentato in Francia, in periferia di Parigi, ed era stata un’esperienza orribile, mi aspettavo una topaia come quella, quindi avevo preso con le pinze quello che mi aveva detto che era un posto bellissimo, da sogno, con i prati, un campus, tante nazionalità e avevo detto mah, speriamo! Quando sono arrivato quello che mi aveva detto si è rivelato vero.
Parigi è una città grande, una metropoli, il fatto di vivere qua e non in un appartamento ha dei vantaggi?
Sì, decisamente, chi vive in un appartamento si sente molto più isolato. La Cité Universitaire alla fine è un piccolo villaggio perché ci sono soltanto quaranta case, è facile da girare, ci sono le mura intorno, ti senti un po’ isolato da Parigi ma sei comunque a Parigi, mentre se fossi in una casa uscito dalla tua porta saresti solo e sarebbe più difficile. Qui avverto un ambiente protetto, giovane e stimolante, puoi conoscere molte persone e fare tante attività, c’è il parco, puoi fare sport, puoi partecipare ad attività culturali. É un piccolo angolo ritagliato per noi dentro Parigi… lo avverto così.
Ci sono degli aneddoti che ti piacerebbe raccontare legati al tuo soggiorno qui alla Maison?
Facciamo spesso cene nella cucina comune, a me piace molto, anche se a volte si trasformano in un inferno, è capitato che dentro la cucina eravamo in ventiquattro e non si respirava più… ma a parte quello, non so se hai già conosciuto Antonio, organizza molto questo tipo di cose, arrivano tutti qua perché quando lui fa una cena è come andare a un matrimonio al sud e quindi sono occasioni molto belle per stare assieme.
Soffrivo all’inizio per l’età avanzata che c’era in generale, ma adesso è molto meglio. E’ un peccato perché alla fine i più giovani sono quelli in brassage, quelli con un contratto post-doc invece sono più numerosi, quindi la media di età tende più verso i trentacinque anni. Ma per fortuna gli studenti erasmus riequilibrano la situazione!
L’idea alla base della Cité Universitaire nata negli anni venti era quella di un luogo in cui le future élites mondiali si potessero trovare assieme per imparare a superare i pregiudizi ed evitare un nuovo conflitto. Un luogo per raggiungere una pace condivisa, per migliorare le relazioni internazionali. Questa idea è ancora alla base della Cité Universitaire? Oppure ha per te altri significati?
Quando avevo letto che la Cité era stata fondata per la pace, per la comunione dei popoli, un po’ avevo sorriso, devo dire… però poi ho riflettuto sul fatto che effettivamente all’epoca c’era appena stata la prima guerra mondiale, oggi le cose sono un po’ cambiate ma lo scambio culturale resta forte, quindi questa vocazione è rimasta, l’essere a contatto con tante persone ti arricchisce e ti spinge a superare i pregiudizi.