Professore emerito dell’università di Genova, Giuseppe Felloni ha dedicato la vita professionale alla ricerca scientifica ed all’insegnamento della storia economica. Ha soggiornato alla Maison de l’Italie nel 1957.
La mia prima esperienza parigina inizia – se ricordo bene – nel 1957 quando, avendo vinto una borsa di studio del Ministero degli affari esteri, mi trasferii da Genova dove avevo sempre abitato in quella città. Per diversi mesi dovetti alloggiare a mie spese in camere in affitto, ma poi ottenni una stanza alla Maison d’Italie e iniziai a vivere nella Citè Universitaire. E’ stata un’esperienza indimenticabile. La presenza di tanti giovani di nazionalità diverse accomunati dallo studio (in gran parte) mi aprì gli occhi sul mondo. Alla maison d’Italie avevo una bella stanza solo per me nella quale potevo studiare e farmi qualcosa da mangiare se non volevo andare al refettorio comune: un posto orrendo, chiassoso, dove il cibo era decisamente povero e insufficiente. Per la colazione , che la Maison d’Italie non passava, andavo alla Maison degli Stati Uniti, dove si respirava un’aria di benessere. Alla Cité e alla Sorbona, dove seguivo le lezioni dell’indimenticabile prof. Fernand Braudel, ho conosciuto diversi giovani italiani e stranieri con cui sono rimasto in contatto e alcuni dei quali si sono poi distinti nella vita politica od accademica come Bronislaw Geremek, il famoso protagonista della rivoluzione polacca, lo storico Corrado Vivanti, lo slavo Barisa Krekic, , Emiliano Fernandez de Pinedo, che diversi anni fa – quando insegnava all’università di Bilbao – fu duramente osteggiato dagli indipendentisti baschi, e poi John Day, uno straordinario americano che avevo incontrato a Genova, dove faceva una vita miserabile per studiare l’economia genovese del medioevo e che poi si era trasferito a Parigi guadagnandosi un eccellente sistemazione accademica. A un livello superiore ho conosciuto Alberto Tenent con cui ho lavorato al Centre de la Recherche Scientifique, Ugo Tucci e Ruggero Romano, che con Tenenti faceva parte della corte di Braudel . Sulla Maison d’Italie che allora era diretta, se ricordo bene, proprio da Ruggero Romano, non posso dirle granché se non che era una base sicura da cui osservare il mondo. Erano gli anni dei primi lanci spaziali e ricordo l’emozione che suscitò il lancio dello Sputnik e l’irrisione con cui venne accolto il successivo lancio del piccolo satellite americano, che chiamavano il “pamplemousse”, il pompelmo. Per concludere, quella mia permanenza nella citè rappresentò una fase essenziale della mia formazione, contribuendo in modo decisivo alla mia personalità e alla mia carriera accademica. Purtroppo di quel felice periodo non ho testimonianze fotografiche: in quel tempo ero troppo occupato a vivere e ad assorbire quanto mi circondava.